09/06/16

Ho il garage invaso dai vermi

In questi primi giorni di giugno piove spesso. Persino ora, nel momento in cui vi scrivo, sta piovendo. E cadeva la pioggia anche quando ho iniziato, continuato e terminato la mia avventura con i vermi. Sì avete capito bene: vermi! Valanghe di schifosi e viscidi lombrichi che strisciavano su tutto il pavimento del garage e poi anche in giardino, appena fuori la veranda. Roba da accapponare la pelle anche solo a pensarci. Ma fossero stati solo loro il problema... 
Erano bianchi, mollicci, pregni di bava appiccicosa e grossi quanto una mano o un pallone da basket o un cane. Creature enormi, anzi no, che dico, bestie assolutamente colossali, dei fottuti giganti dalla stazza pari a un autobus che se ne stavano lì a strisciare sotto terra, tra la nebbia e la pioggia, invisibili.

Ok, spero l'avrete capito, non mi sto riferendo certo al giardino di casa mia (altrimenti l'avrei abbandonata da un pezzo), ma vi sto raccontando de I vermi conquistatori, romanzo di Brian Keene inquadrabile tra i generi horror e post apocalittico; che poi non mi piace etichettare le storie, però capisco per molti ci sia la necessità di sapere in anticipo che atmosfere si andranno a toccare prima di leggere, ed è infatti proprie da queste che partirò per parlarvene.
De I vermi conquistatori ne avevo sentito discutere qualche tempo fa in giro per blog e le impressioni che ne erano uscite erano davvero molto buone. Qualcuno aveva provato addirittura paura leggendolo, o quantomeno un senso di ribrezzo costante, cosa che, quest'ultima, anch'io ho percepito in più scene, proprio grazie al modo da brivido in cui sono narrati gli incontri con le creature.

06/06/16

#MyTesyTelling | Sampei, pescatore che parla in pubblico

Erano i primi di maggio e galleggiavo sperduto in un mare di materiale da cui dovevo pescare un che di utile. E all'improvviso, nella casella messaggi della mia pagina Facebook, ecco qualcosa che mi lascia per un secondo a bocca aperta...

''Bada a come parli, se no ti strappo le labbra e te le appiccico agli occhi, così vedi quello che devi dire!'' [Robin Williams]

A ripensarci mi viene proprio in mente un pescatore. Uno però che va per prendersi una trota e poi finisce a fare surf come Sampei sopra a un dinosauro con l'amo alla bocca che ti fa fare il giro turistico del lago.
L'intenzione era quella di farmi notare da una professoressa esperta di storytelling in modo da coinvolgerla e poterle chiedere più informazioni per il mio progetto. L'idea fu allora di sfruttare l'evento sociale UniVr in a Day e tramite Instagram promuovere l'hashtag #MyTesyTelling sperando che il suono così affine alla sua materia le mettesse un po' di curiosità e infatti, beh, ecco, insomma... la preda ha dapprima tirato uno strattone con un cuoricino, poi un secondo con un MiPiace su Facebook, finché non ha ceduto con l'iscrizione alla mia FanPage.
Infine però ecco il fatidico messaggio, che pressapoco diceva così:

Ciao! Insegno al corso di laurea magistrale di Editoria e Giornalismo e il tuo progetto ha attirato la mia attenzione
Maccerto mia cara, era tutto calcolato dal sommo maestro degli inganni! Per questo ora il tuo sapere storytellinghesco sarà mio muahahahaha...
Ti andrebbe di venire a parlarne la prossima settimana in classe da me a Verona? Saremmo molto curiosi di conoscerlo meglio. Fammi sapere eh!
...hahahahahaha ah ah ahah ah ah a a... CHE COSA? Parlare in pubblico io??? Ma che significa?

E qui insomma parte la scena di Sampei convinto di prendere il pesce ma che in realtà si fa prendere dallo stesso. Sì perché arrivata così, io 'sta proposta non me la sarei mai aspettata. Ché voglio dire: chi sono io per venire a parlare davanti a dei laureati? Poi però ho fatto un po' scemare l'ansia da folla che mi fissa in silenzio, e ho pensato che in effetti sarebbe stata una bella occasione per pubblicizzare il progetto e per chiedere direttamente a degli studiosi di storytelling quelle dritte che stavo appunto cercando.

01/06/16

L'indifferenza che ti uccide

Forse avrete sentito in questi giorni della storia di Sara, la ragazza bruciata viva dal suo ex fidanzato, quella che oggi potrebbe essere ancora qui se gli automobilisti a cui aveva chiesto aiuto si fossero fermati o avessero anche solo chiamato il 113. Probabilmente avrete anche letto (e magari dato dei giudizi) proprio di questi ultimi, che comportandosi come degli ignavi o persino degli assassini, si sono fatti bellamente i fatti propri lasciandola sola. 
Ma quante altre volte sono accaduti fatti simili? Possibile che la società in cui siamo abbia creato dei mostri incapaci di agire persino in situazioni tanto gravi?

Il molto discuterne mi ha fatto tornare alla mente alcuni studi fatti durante le lezioni di psicologia sociale, in particolare di quando si era trattato dell'enorme potere che hanno su di noi le situazioni, capaci di innescare in persone perfettamente sane ed equilibrate comportamenti violenti al limite dell'assurdo, ma anche inazione, incapacità di agire di fronte a casi come quello di Sara.
E' chiaro che davanti a esempi tanto inumani sia facile stupirsi e dare giudizi che cercano di svelare il perché di tali comportamenti. C'è anche però chi non si accontenta e vuole vederci chiaro, e tra questi, per esempio, i due psicologi sociali di cui sto per raccontarvi, tali John Darley e Bibb Latané, che già nel 1968 simularono in laboratorio situazioni analoghe.

Scelsero alcuni ragazzi che presso il dipartimento di Psicologia della New York University si sottoposero al test. Dopo aver compilato alcuni questionari, ognuno di loro fu condotto in una stanza differente e collegato a cuffie e microfono. In realtà, sotto osservazione da parte degli scienziati, vi era soltanto una tra tutti i soggetti: Sabina, poiché gli altri prestavano parte a una messa in scena ben costruita e concordata con gli sperimentatori.
Il gioco consisteva nel parlare a turno raccontando dei propri problemi legati al mondo universitario. Tra queste persone, una era designata come vittima, e infatti, dopo il secondo giro di ascolto/racconto, Sabina la sente lamentarsi sempre più intensamente, esprimendo dapprima disagio, e poi vero e proprio malessere, accompagnandosi da imploranti richieste d'aiuto. E' in pericolo di vita.
Il test è per Sabina. Gli altri, ovviamente, non prestano alcun soccorso. E lei però mostra chiaramente un disagio. Si tormenta le cuffie, muove il microfono, si guarda attorno, suda, ha le palpitazioni, si alza dalla sedia, si risiede. Alla fine, però, non interviene.

30/05/16

Se la pagina Facebook non decolla

Se Facebook mi azzoppa io devo chiedere a voi le stampelle. Non ho altro modo. 
Dopo aver sentito dell'ennesima lamentela da parte di  altri blogger e youtuber (come Germano Hell e Rick Dufer) ho anch'io la necessità di chiedervi una mano e lo farò spiegandovi in breve come funziona Facebook e in particolar modo cosa sta dietro la gestione di una FanPage e il suo pubblico. Sarò breve, promesso, e sono sicuro che questa roba potrebbe anche tornarvi utile.


Partiamo dall'inizio. Il mio blog, per raggiungere il suo pubblico, utilizza vari strumenti tra cui i social media (tutte le piattaforme in grado di creare una community). Tra loro ovviamente non può mancare Facebook, il re dei social network. Proprio su questo infatti c'è la mia pagina CervelloBacato, nella quale linko gli articoli provenienti dal blog e posto contenuti anche di altro tipo, in modo da appassionare chi mi segue e creare un posto quanto meno accogliente.

Il problema di cui parlo sta tutto nel funzionamento dell'algoritmo con cui Facebook gestisce le mie pubblicazioni. Dovete sapere che se io ho 600 Mi Piace e pubblico uno status, una foto o un video, il social non mostra il mio nuovo aggiornamento tra le notizie di tutte e 600 le persone che hanno dato il Mi Piace, ma solo a una piccola percentuale. Se, inoltre, io pubblico un contenuto che porta il mio follower ad uscire da Facebook, per esempio un link al mio articolo sul blog, questo riduce ancora più drasticamente il già limitato numero di fan che lo vedranno. 
Facebook non vuole che la gente esca da Facebook. Vi vuole tutti dentro il social. Vuole che consumiate i contenuti di internet da lui. Motivo per cui molti blogger ora scrivono status lunghi piuttosto che articoli sul proprio sito, o youtuber caricano i propri video direttamente sul social invece che nei loro canali.

27/05/16

Kobane Calling | Farsi delle domande

Se bazzicate abbastanza da queste parti saprete sicuramente di quanto mi piaccia Zerocalcare. I suoi fumetti mi hanno attirato anni fa con le strisce pubblicate sul blog e poi definitivamente conquistato con le storie La profezia dell'armadillo e Un polpo alla gola, di cui comunque ho già parlato proprio qui. Se siete curiosi, andate a dare un occhio.

Oggi vorrei dire due parole sul suo ultimo lavoro, il fumetto Kobane Calling, che a detta di qualcuno è molto simile a un reportage giornalistico e in effetti potrebbe pure somigliarci vagamente non fosse altro che il giornalismo, come dice lo stesso fumettista, è qualcosa di diverso e di sicuro non è quel che lui vuol fare.
In questo nuovo albo, probabilmente il più corposo tra quelli proposti (261 pagine), Michele racconta dei suoi viaggi avvenuti tra 2014 e 2015 col progetto #RojavaCalling, che intende dare solidarietà al popolo curdo nella sua lotta all'oppressione tanto di Isis quanto dallo Stato Turco (che, come tiene a  far notare è ben diverso dal popolo che lo compone). Si va inizialmente a Mesher, un piccolo agglomerato urbano al confine con Kobane per portare medicinali, servizi, cibo e aiuti di ogni genere, e poi continuamente tra le zone del Rojava appartenenti ai gruppi di resistenza curdi YPG e YPJ e visitando zone a un passo dai militanti del califfato nero.

25/05/16

Tieni la porta

Sento profumo di cose buone, selvaggina, maialini allo spiedo trasudanti di salse calde, carré d'agnello con patate di rape gialle e burro, montone con carote, pesche al miele, tocchi di formaggio speziato alle erbe e forme di pane al burro appena sfornato, aromi che mi urlano in pancia e Dio, Dio mio, sto crepando come una bestia. Era una giornata gelida, come ora, ma ero coperto ed ero più grasso. Sicuramente poi, l'avere tutti i miei arti rendeva meno problematico inforcare le posate. Non che ora ne abbia gran necessità in effetti. C'era la neve. Una tormenta. Ci aveva investiti mentre giravamo un pezzo per il prossimo documentario sulle ambientazioni della serie. Il rifugio non era troppo lontano ma un guasto alla jeep ci aveva costretti a rimanere lì in attesa di aiuti, o in alternativa a fare una buona ora di faticaccia tra metri e metri di neve, vento e ghiaccio.
Illustrazione di MarcSimonetti che trovate qui
Restammo in due: io e il mio ex compagno di cella. Gli altri proseguirono promettendo di tornare di lì a poco coi soccorsi. Niente campo per i telefonini, chiaro. E chi arrivò infine, almeno mezza giornata più tardi, furono degli uomini in carrozza imbacuccati neanche fossero a un revival medievale, caricandoci sgraziatamente a bordo e dandoci una magra ospitalità tra le mura di un maniero in piedi per miracolo.
Questo fu un mese fa. Alla seconda settimana di prigionia il fonico fu scuoiato e dato in pasto ai cani e un po' anche a me. Dicono che i tripponi sopravvivono a lungo con tutte le riserve di grasso che hanno. I miei amici, almeno, dicevano che io potevo star sicuro che di fame c'avrei messo del buon tempo per schiattare. Più probabile un infarto invece. Finisci i tuoi libri ciccione di merda, prima che ci lasci le penne e una fottuta serie incompleta tirata avanti per i capelli da un serial tv che pare sempre più Cento Vetrine!

20/05/16

#MyTesyTelling | E il materiale, ora, dove diavolo lo trovo?

''Tanto l'uomo è gradito e fa fortuna nella conversazione e nella vita, quanto ei sa ridere.'' 
[Giacomo Leopardi]

Ci eravamo lasciati con la conquista del relatore perduto. La scorsa volta vi ho raccontato infatti di quei giorni un po' confusionari in cui non riuscivo a trovare un professore disposto a seguirmi nella tesi, e di come l'argomento incomunicabilità fosse stato poi scartato in favore de il legame tra giornalismo e storytelling.
Oggi vi parlo quindi degli sviluppi successivi, in particolare di incontri avvenuti non solo faccia a faccia, ma anche e soprattutto via web, ché #MyTesyTelling nasce qui su internet e io, sto internet, devo sfruttarlo al 100%, e quindi...

Avevo l'argomento. Avevo il professore. Ora però, questo benedetto materiale, dove diavolo lo andavo a pescare? Dopo esserci accordati su quali fossero gli step successivi, è partita la fase di ricerca sia mia che del prof.
Il primo passo quindi è stato chiedere consiglio a zio Google. Ne sono venuti fuori articoli su articoli su articoli di chiacchiere. E poi commenti e opinioni, wow, fico, come no! ma niente libri di testo a cui fare riferimento e nessun dannato saggio che potesse veramente portarmi a un'argomentazione di spessore. Basare una tesi sulla fuffa quindi? Partiamo bene!

17/05/16

Certe cose non si possono né dovrebbero raccontare

Ieri sera, durante i nostri esperimenti di scrittura assieme a quella banda di pazzi di Accademia Orwell, si parlava di narrazione priva di barriere morali e pregiudizi, intendendo cioè l'atteggiamento che dovrebbe avere un autore di guardare  la propria storia sotto diversi punti di vista. L'idea insomma è osare, sperimentare, lasciarsi portare dal racconto, anche e soprattutto giocando con elementi che riteniamo intoccabili per costrutti e pressioni sociali che per forza di cose possediamo.

La prendo larga. A un certo punto è stato citato il regista Lars Von Trier e la sua dichiarazione al festival di Cannes 2011

''Hitler lo capisco. Ovviamente ha fatto molte cose sbagliate, assolutamente, ma riesco a immaginarlo mentre sedeva nel suo bunker quando tutto era finito.''

e si è fatto notare come a questa frase tutti si siano indignati, specie la direzione del festival.
Il punto ora non è Hitler. E' un esempio. Il punto è l'atteggiamento dell'autore, ma anche solo delle persone, riguardo un dato storico o un personaggio che è diventato nel tempo una base di partenza e di giudizio su cui ragionare, accusare, additare, costruire, disfare, discutere. Una base da cui nascono linee di pensiero tra le più disparate, ma che resta solitamente fissa.

Von Trier ci gioca. Ma non scherzandoci. La usa per guardare questa figura tanto controversa nella sua parte umana, nel momento in cui è un uomo distrutto che sta per morire. Prova simpatia intesa come condivisone di emozioni e sentire comune. Empatia. 

La discussione utilizzava questo esempio forte per ragionare sul fatto che chi narra dovrebbe avere il coraggio di raccontare e non dire (e dirsi) E' così come penso io e ora te lo spiego. Si invitava quindi a immedesimarsi in situazioni, persone e luoghi visti normalmente in un dato modo, probabilmente superficiale, sicuramente limitato a una delle tante possibilità; e a raccontare una storia, azione non esauribile con lo scrivere ma feconda anche intimamente ascoltando quel che si vive, trovando un buon modo di creare alternative capendo meglio ciò che siamo e abbiamo attorno.

13/05/16

Tutto questo brutto sangue

Avanti. Vediamo se trovi il coraggio. Se hai le palle di sintonizzarti con me, mettere play e starmi a sentire per una buona, fottuta volta. Sì, sto parlando proprio a te che stai leggendo queste parole. Ascolta la musica che c'è qui all'inferno e prova a sentire quel che sento io. Non l'hai ancora premuto vero? Schiaccia su questo dannato play! Fammi vedere, mostrami di che sei capace, perché io lo so che tu non hai la più pallida idea di quanto sia una merda essere un uomo, intrappolati in questo schifo, e allora, Dio, adesso te ne stai muto e vivi sul serio, per una volta.
Prova cosa significa spingere l'acceleratore con l'aria gelida che ti spacca la faccia e lo stereo che grida, guarda come scivola via l'asfalto arancione dei neon della notte, in questa città di coscienze malate terminali. Riesci a sentirlo? La vedi la paura ad ogni sorpasso, il brivido che ti tiene in bilico tra una lamiera insanguinata e la folle corsa di un povero cane bastonato, stufo di tutto questo?  Oh, tu non lo sai, ma capirai presto, capirai senz'altro. Perché capisci, ho deciso di venire a dirtelo in faccia e sfilarti dalle mani il mio ultimo istante di vita, mentre la strada è investita dagli pneumatici e dal temporale, e tutto quel che ho fatto di buono per costruire qualcosa se n'è andato a fanculo per l'arroganza del tizio che ora è qui con me, nel bagagliaio, a pezzi e chiuso in un sacco come la peggio monnezza del tuo fottuto mondo.

10/05/16

#MyTesyTelling | A primavera si corteggia

Che non fosse semplice trovare un professore disposto a fare da relatore per la tesi lo sapevo, e però Cristo santo, che opera di corteggiamento che c'è voluta! 

''Il corteggiamento è una forma di accattonaggio. Non a caso la dichiarazione una volta si faceva in ginocchio.'' [Gianni Monduzzi, Orgasmo e pregiudizio]

Non si è trattato certo di conquistare una donna o di pregare qualcuno in ginocchio, ci mancherebbe, ma vi assicuro che le difficoltà sono state più del previsto. E' cominciato tutto verso novembre durante il primo semestre dell'ultimo anno. Studiando comunicazione mi venne l'idea fulminante di una tesi che avrebbe toccato parecchi dei corsi affrontati in questi anni, e più passava il tempo più mi convincevo che il tema centrale su cui lavorare dovesse essere, paradossalmente, l'incomunicabilità
Studi comunicazione e tratti del suo contrario? Sei un genio!
Certo che lo sono, grazie grazie, lo sapevo anch'io.
Sì ma non vantiamoci troppo adesso che inizi a starmi un po' sulle balle, amico!

Era una tematica perfetta. Potevo richiamare gli studi di psicologia sociale, di filosofia, di sociologia, di logica e filosofia della scienza, e perché no mi sarei potuto sbizzarrire facendo anche un bell'approfondimento sul rapporto scienza e società, o magari sul mondo dell'internet, qui dove i social spopolano e dove tutti condividono e parlano di tutto e nonostante ciò si litiga, si è sempre in guerra, in tensione costante e non ci si capisce mai. Sembra proliferare un'incomunicabilità delirante nel bel mezzo del trionfo tecnologico della comunicazione. Diavolo, sarebbe stata una ficata! 

05/05/16

5 giocattoli spettacolari di quando si era bambini

Parlando con la morosa delle solite cose di cui si parla tra morosi è saltato fuori il discorso su quanto fossero belli i giocattoli di quando si era piccoli. Si parlava ovviamente di lego ma anche di quei... cosi appiccicosi, non saprei come altro definirli, costituiti da un filo gommoso allungabile alla cui estremità stava o una palla, sempre gommosa e a volte luminosa, o addirittura una manina o un piedino, che abilmente catturavano tutta la sporcizia del mondo depositandola di volta in volta sui muri di casa e toccava scappare perché tua madre altrimenti te le suonava.

Insomma, questo abominio di appiccicume mi ha fatto tornare alla mente i miei giocattoli preferiti e oggi quindi ve ne parlo portandovi con questa top5 in un breve tuffo negli anni 90/2000, tempi in cui, diversamente da oggi, i videogames non coprivano la quasi totalità dei desideri di noi pischelli.

La Fabbrica dei mostri
Se il gameboy color è stato (ed è rimasto fino a un paio d'anni fa) il mio più grande sogno di bambino, la grandiosa Fabbrica dei mostri è divenuta il riscatto con cui potevo far sentire i miei amici delle merdine, per il semplice fatto che Io ce l'ho  e tu no! Quanto mi pregavano anche solo per vedermi sfornare i mostriciattoli di gelatina multicolore dalle piastre in acciaio bollente, e quante ne facevo fuori di quelle boccette di liquido mostruoso per costruire il mio esercito. Che poi c'era pure il cartone de La fabbrica dei mostri, ve lo ricordate? Un consiglio: non aprite youtube per rinfrescarvi la memoria. E' orripilante!

Ciaceti dei pokemon e di dragonball
Probabilmente non avete idea di cosa io stia parlando. Ciacieti era il nostro modo veneto di chiamare i pupazzetti, non più grandi di un dito, dei personaggi di dragonball e pokemon che adoravamo collezionare tra i Quelli del palazzone. Immaginavano avventure grandiose fatte di scontri, vendette, allenamenti ed epiche battaglie giocate tutte nei dintorni del nostro condominio gigante perdendo interi pomeriggi anche solo per decidere come scambiarci quegli insani oggetti di divertimento. Sì perché non bastavano le carte dei pokemon a quanto pare, su cui avevamo costruito un sottobosco criminale/mafioso di spaccio che Gomorra deve solo levarsi dalle palle!, c'erano pure questi qui. 

02/05/16

Lui è tornato

E se Hitler si risvegliasse nella Germania di oggi, che accadrebbe?
Da questa semplice domanda parte Lui è tornato, diretto da David Wnendt e trasposto dal romanzo omonimo di Timur Vermes. Un film che gioca molto sulla convinzione che il fuhrer, visto quanto accaduto in passato, oggi sarebbe ovviamente condannato all'unanimità, e che mostra invece quanto sia forte il potere della persuasione nelle mani di una persona particolarmente abile e ambiziosa.

La pellicola è tutta costruita su una satira pungente e su una forte componente di ambiguità. Ci si trova infatti sempre in bilico nel rapportarsi a Hitler perché questi, nonostante venga ritenuto da tutti come un attore particolarmente pedante nel ricalcare il proprio ruolo, è in ogni caso grande fonte di riflessione, tanto più quando diventa fenomeno virale e (ri)acquista una certa fama. Tramite la sua nota visione di una Germania forte e da riscattare infatti, abbindola il popolo tedesco facendogli da una parte mettere in discussione le proprie idee sul ruolo tedesco in relazione ai problemi d'oggi, e dall'altra offrendo ai nostalgici di una certa appartenenza politica un nuovo modello cui identificarsi e sfogare le proprie frustrazioni.

Quel che più mi è piaciuto è sicuramente la non banalizzazione a fronte di un'idea tanto semplice. E' interessante infatti (e tragicomico) osservare come Adolf affronti questa nuova realtà, come si stupisca delle innovazioni tecnologiche e quanto, nonostante il progresso, trovi di che criticare a livello di contenuti, specie del mezzo televisivo, che a suo avviso distoglie dai problemi reali e insulta l'intelletto umano con la spazzatura che propina. Importante, assieme alla tv, è anche internet, fonte immensa d'informazioni che noi diamo ovviamente per scontata ma che ai suoi occhi ha un potere immenso.

28/04/16

#MyTesyTelling | La tesi di laurea come storia da raccontare

Ci sono molti buoni modi per cominciare quell'esperienza teoricamente fantastica e appagante che è la tesi di laurea. Io, di questi buoni modi, devo confessare non ne conosco nessuno e perciò il mio, ho deciso d'inventarmelo.
Dovete sapere che anche per me è arrivato il momento di iniziare l'avventura verso la laurea. Una roba che a guardarla adesso mi pare tanto la scalata al milione di Chi vuol essere milionario, con Gerry Scotti che se la ride di gusto aspettando un mio passo falso, il pubblico che mi osserva pronto a mandarmi fuori strada, la telefonata a casa con la linea occupata e il 50 e 50 che mi lascia con la via giusta e quella sbagliata che però pare proprio giusta uguale. Vedete? Sto già delirando e devo ancora iniziare. 


''A parlare delle cose belle e dei giorni lieti si fa in fretta, e non è che interessi molto ascoltare; invece di cose gravose, emozionanti o addirittura spaventose si può trarre una buona storia, o comunque un lungo racconto.'' [J.R.R. Tolkien]

Ecco. Iniziamo dall'inizio allora. Come spesso accade tutto parte da una domanda che ti ronza in testa senza darti pace, e continua fintantoché non le dai una manata (metaforica eh, che ci manca solo mi prenda a botte in testa da solo) e riesci miracolosamente a fermarla. 
A guardarla finalmente tranquilla non pare neanche tanto male questa domanda, e più o meno, la mia faceva così:
Ma perché non affrontare questa tesi... raccontandola?
Raccontandola? Ma chi, io? (sì, se ve lo steste chiedendo mi interrogo e rispondo da solo)
Nonnò... meglio ancora! Tutti insieme! 

25/04/16

Diamo spazio al Tempo

Parliamo di tempo. Tempo inteso come scorrere cronologico degli eventi e anche come azioni che compongono quegli eventi. 

''People assume that time is a strict progression of cause to affect, but actually, from a non-linier, non subjective point of view it is more like a big ball of wibbly wobbly timey wibbey... stuff''

Mi è capitato di vedere una puntata di Doctor Who intitolata Blink, e in quest'episodio il tema era il viaggio nel tempo. Nell'episodio, ambientato nel 2007, Sally esplorando una vecchia casa trova un messaggio scritto su un muro. Tale messaggio è un avvertimento indirizzato a lei ma inciso nel 1969 da un certo Dottore. Della bizzarria ne parlerà con l'amica Khaty, che gironzolando poi per il rudere s'imbatterà in un essere che la spedirà dritta negli anni Venti.
Da qui inizia un processo machiavellico. Pochi istanti dopo la scomparsa dell'amica infatti, Sally riceverà una lettera scritta proprio da Khaty (morta intanto nel 1987), fatta recapitare tramite un nipote. E in seguito si aggiungerà il ruolo del Dottore, viaggiatore del tempo intrappolato nel '69 e bisognoso dell'aiuto di Sally che...

E' un po' complessa da trascrivere. Il consiglio che vi do è di guardarla. Il punto è che una simile storia mi da l'occasione per discutere del tempo, almeno a livello narrativo, e quindi dei viaggi nel tempo. Questo perché nel caso presentato il tempo appare perfettamente strutturato. Ogni azione, per quanto dettata dal libero arbitrio degli attori che la eseguono, si rivela esattamente funzionale allo schema degli eventi, in modo tale da non far collassare tutto in un tripudio di paradossi.
Ho sempre inteso il tempo e i viaggi nel tempo in due modi possibili, e ve ne parlerò sempre dal punto di vista puramente fantastico/fantascientifico, che qui la scienza credo c'entri poco e niente.

21/04/16

Cosa succede se collego il blog al profilo Google+

Da alcuni giorni sto sperimentando l'opzione che permette di associare il profilo G+ al proprio blog, andando a cambiare radicalmente il sistema dei commenti. Non so se l'avete notato, ma ora nel box presente sotto a ogni post è possibile interagire esclusivamente tramite accesso al proprio profilo Google, e questo ha portato a una serie di accadimenti, sia positivi che negativi, che vorrei analizzare qui sotto in caso vi possano essere d'aiuto.

Finalmente un sistema di notifiche
Il primo beneficio di tale implementazione è che finalmente c'è un sistema di notifiche ai commenti. Ho sempre trovato fastidioso non sapere se qualcuno avesse commentato e risposto ad un mio intervento, e ora grazie a questo passaggio ogni nuova interazione è segnalata dalle notifiche di Google +.

Si può commentare solo se si è utenti G+
Chi interviene lo può fare soltanto utilizzando il profilo G+, ma possederlo è automatico se si ha una mail con Gmail. Essendo blogger proprietà di Google, ed avendo io una maggioranza di commentatori affiliati a Blogger, ho ritenuto non fosse un gran problema perdere quei rarissimi commenti anonimi che ogni tanto facevano capolino. Sì, ecco: viene da sé che ora è impossibile commentare anonimamente o con altri profili che non siano G+.

Sparisce la sezione commenti su Blogger
Il fatto che ci sia un sistema di notifiche funzionante cancella però la sezione commenti presente in Blogger. Non potrete più quindi scorrere su tutti i commenti ricevuti, ma poco importa, le notifiche rimangono comunque disponibili per essere consultate nel caso sfugga qualcosa.

Aumento traffico e condivisione
L'aspetto più interessante riguarda sicuramente un generale aumento del traffico sul singolo post, dovuto principalmente al fatto che per ogni commento lasciato parte automaticamente (a meno che il lettore non voglia toglierla) la condivisione sul proprio profilo Google +.