30/04/15

Siate elastici!

Oggi vi sfido. Prendo spunto dagli incontri di scrittura che sto frequentando facendovi partecipi dell'idea di Rick DuFer, e invitandovi a provare un esercizio chiamato racconto elastico. Come funziona? Si parte da una stringa narrativa, una semplice frase, che dovrete allungare come fosse appunto un elastico.
Lo dovrete fare per TRE volte. La prima, scrivendo qualcosa attorno ai 300 caratteri, la seconda 500, e la terza 700, non serve precisione assoluta eh! Comincerò io, così avrete un esempio un po' più chiaro del funzionamento dell'elastico. Tenente presente comunque che la stringa iniziale si può allungare in qualunque modo: punti di vista diversi, dilatazioni temporali, spaziali, di forma, di stile, di contenuto, quel che vi pare. Rimanete nello spunto dato, ma... elasticizzatelo!

La frase da cui partire è:
Il colpo arriva da destra. Ci sbilancia, ci getta lontano, cosa sta succedendo?

Prima dilatazione
Prima aria, peli di barba su guancia si stendono. Poi pelle, quattro nocche violente esplodono la destra del volto. Le gengive sussultano, l'arcata dentale del colpo si apre: tre radici e mezzo sradicate in un istante. Picchiamo l'asfalto in una frustata di sangue. Che cazzo succede?

Seconda dilatazione
Guardo un albero in un prato. Sole, brezza fresca, erba smeraldo. Perfetto. Sento un... l'albero, l'albero non c'è più, l'albero è... lì, vicino a me, ma lontano. Potrei cadere, vomitare, non reggermi in piedi. E vorrei, vorrei farlo, per quanto sgradevole, vorrei stare male come è normale che sia. Ma non posso. Che succede? Perché mi vedo lì, impiantato come quel dannato salice, fermo immobile a fissarlo? E' orrendo essere così, è innaturale essere insensibili a se stessi, scarnati, guardarsi da fuori. Voglio sentire, anche il dolore, ma voglio sentire.

Terza dilatazione
Se potessi essere... bella. 
Se potessi non vergognarmi della mia pelle, se i solchi insanguinati non fossero incubi di cera, bianchi e lisci e indolori al tocco, bollenti. Se potessi non salire come stessi andando al patibolo, con la folla che mi spoglia inorridita, scrutando un morto con la testa mozzata, attratta dal suo stesso disgusto, e se potessi non contarli, i loro occhi, così tanti, così precisi. Se potessi non sentirmi imperfetta, perfettamente accusata della mia colpa.
Un passo.
Se potessi non fare l'altro, salire, che il primo è già abbastanza duro da buttar giù.
Il colpo.
Se potessi fermare il peso della mia vita, se potesse smettere di correre a destra, la dannata lancetta, schiacciata da chili di rimorsi.

Ora tocca a voi. Partite dalla prima frase e, restando in quella, allungatela non aggiungendo altro prima o in seguito, ma stirandola come fosse un elastico, nel mezzo. Siate liberi di provare qualunque cosa, mi raccomando! Potete rispondere qui sotto o creare un post nei vostri blog. A voi...

27/04/15

Walkman | Aprile

Terzo appuntamento con Walkman, la nuova rubrica musicale del blog. Qui, nella sezione MusicalMente, troverete comodamente (sempre che ve ne strafreghi qualcosa) tutti post che ne fanno parte. E ora partiamo! Che ho ascoltato sto mese?

Die Antwoord
Complice quello stronzetto di Chappie, il nuovo film di Neill Blomkamp, mi sono rimesso ad ascoltare questo gruppo di sudafricani scoppiati. Yo-Landy, Ninja e Dj Hi-Tek fondono musica elettronica e cultura trash (se così si può definire) per regalare un'esperienza davvero fuori dagli schemi. 
Vi potrebbero piacere? Non saprei. Trovo azzeccato il commento di un critico che disse: i Die Antwoord sono come un incidente, tanto brutti che non riesci a smettere di fissarli. Potete avvicinarvi a loro con I Fink u Freeky, probabilmente il pezzo più famoso, e Fatty Boom Boom, nel quale prendono per il culo Lady Gaga, che li voleva ad aprire un suo concerto e s'è beccata un simpatico No in risposta.

Lunatic Wolf 
Restiamo in Sudafrica ma cambiamo totalmente registro. Siamo sul folk/indie/alternative/rock, un po' tutto un po' niente insomma, e questo gruppo l'ho scoperto pochi giorni fa scorrendo la bacheca facebook. Un solo album intitolato To the Adventure, uscito a novembre 2014, che ho trovato davvero niente male. Da non perdere The Tallest Tree, Sure as Hell e So Much More.

The Prodigy
Altro nuovo album fresco fresco è quello dei cazzutissimi Prodigy, intitolato The Day Is My Enemy. Di quest'ultimo vi consiglio la canzone omonima e le storiche Omen, Thunder e Warrior's Dance. Quanti ricordi quest'ultima...

E ora concludiamo con una tripletta di singoli perennemente in loop sul mio simpatico spotify!

Iniziamo da Chic e Nile Rodgers, che con questo ritorno alla disco anni '80 di I'll Be There mi gasa parecchio, passando poi per Cruising California (Bumpin' in my Trunk) degli Offspring tratta dal loro ultimo album, quello del 2012, e giungendo infine all'artista vergogna del mese... Jason Derulo con Want to Want Me... non ce la faccio, continuo ad ascoltarla. 

Ma ora la palla a voi! Che avete ascoltato questo mese? Nuove scoperte? E avete qualche artista vergogna con cui vi si può lapidare? Ovviamente, fatemelo sapere qui sotto! 

22/04/15

La nobile arte del portapizze #3: pizzeria a d'omicidio.

I fatti di seguito narrati non sono frutto di immaginazione. Le persone, le loro parole, e i luoghi, in parte sì, per tutelarne la privacy. Se non ci credete comunque, vi capisco.

Stai per entrare. Leggi lassù, vicino all'insegna, la scritta pizzeria a domicilio. Sospiri. Entri.
''Cia
''Dai cazzo in fretta hai già settantordicimila consegne potresti arrivare cinque minuti prima la prossima volta porcoddue muoviti o ti do fuoco ai capelli!''
Resti lì con la mano alzata a salutare il muro. Il tuo datore di lavoro si è già rimesso a impastare con sottofondo musica latino americana. Prendi il portafogli, le chiavi della macchina e la sacca con le pizze. Varchi l'uscita e... piove. Ma non c'era il sole due secondi fa? Boh.

Hai due consegne da fare e sei già in ritardo. Parti con quella che conosci mentre guidando cerchi l'altra via col cellulare. Scopri che il cliente successivo abita nelle vicinanze. Che culo. Consegni le pizze, fai pagare, torni in macchina. Ti sei pure bagnato poco, la pioggia non sembra essere trop
Diluvio!
Ok, ma almeno sai dove andare. Trovi Via della Disperazione, è ad appena due minuti da lì. Il numero da raggiungere è il 45. Eccoti: i pari sono a sinistra, quindi i dispari li hai a destra. Procedi lentamente e una macchina, nel senso opposto, ti sfanala suonando il clacson. Merda, stai andando contro mano. Vorresti dirgli No guarda tutto a posto, sono un portapizze io ste cose le posso fare ma dato piove troppo non ti azzardi ad abbassare il finestrino. Ti giri come riesci e torni indietro. 

Dopo tragici momenti di dubbio capisci come prendere quella strada nel senso giusto. Percorri Via della Disperazione fino alla tua preda. Scendi in rapidità, ti lavi, prendi le pizze, e punti di corsa al campanello. Suoni. 
Suoni. 
Suoni... 
Niente. Apri il foglio con scritto l'indirizzo e il numero di telefono. La scritta è quasi sbiadita per la pioggia. Torni in auto. Leggi il foglietto al riparo. Componi il numero, confuso se quello sia un 4 o un 9. Tenti col primo. Chiami. 
''Salve sono il portapizze sono davanti casa sua.''
''No guardi, io non ho ordinato proprio nie'' 
Chiudi la chiamata. Era una siciliana e il numero era un 9. Ridigiti, premi il telefono verde, ripeti la cantilena. 
''Ahhh scusami, mi ero addormentato, non avevo sentito il campanello. Ti apro.''
Si era addormentato. Capito? Non dici nulla. Sei stufo persino di avercela col Signoreiddio.

21/04/15

LIVE: A cosa serve la filosofia oggi? (guest post Rick DuFer)

Una domanda a cui non sanno rispondere gli studenti perché "la filosofia ti fa due palle grosse così". Una domanda a cui non sanno rispondere i professori perché se gliela fai si mettono sulla difensiva. Una domanda a cui non sanno rispondere i filosofi perché... sono filosofi. 
Insomma: a cosa serve la filosofia oggi? 

Una LIVE dedicata a chiunque, esperti e curiosi, con la possibilità di interagire direttamente con me, porre questioni, discutere anche animosamente, divertendoci su YouTube

Vi aspetto stasera alle 21 a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=2Y5bXiyqG3M per parlare di questa splendida disciplina che troppo spesso è massacrata dal luogo comune o dall'intellettualoide di turno!

Non mancate! 

20/04/15

Open Minded | MaiMa: l'omofobia si combatte a scuola! (di Fabrizio Benetti)

Benvenuti cervelli cari. 
Oggi a #OpenMinded sono felicissimo di farvi conoscere Fabrizio Benetti, che ha gentilmente accettato di farsi intervistare parlando di sé e soprattutto del gruppo di cui fa parte: MaiMa, impegnato alla lotta all'omofobia partendo proprio da queste zone in cui abito, partendo da Schio.
Siete pronti? Tre, due, uno... aprite le vostre menti!

Allora, partiamo dall'inizio direi. Ovvero: con chi sto parlando? Chi sei tu?
Sono Fabrizio Benetti, ho 28 anni, sono di Schio, mi sto laureando in giurisprudenza e... e stop intanto.

Bene. Parlaci brevemente di MaiMa. Cos'è, dove nasce, da chi, e cosa significa soprattutto!
MaiMa è stato creato a novembre 2014, ed è nato appunto da un incontro tra amici, in cui si è deciso di tentare di sensibilizzare sul tema dell'omofobia la città di Schio in primis, e poi quel che verrà, sperando di allargarci sempre di più. E' un gruppo assolutamente spontaneo in cui si sono incontrate idee diverse, e data la propria natura eterogenea è sia eterosessuale che omosessuale a differenza magari di altri ritrovi che sono o di un genere o dell'altro, con la decisione di mischiarci per poter dire che anche gli etero non sono estranei a quest'argomento.
Che abbiamo fatto per partire? E' nata a dicembre la pagina facebook e in soli tre mesi siamo arrivati a 2200 mi piace, click sui post e...

Un gruppo giovanissimo quindi, nato ieri praticamente!
Sì esatto, e chi se lo aspettava poi questo successo, con interazioni sui post, condivisioni... la gente si interessa diciamo. Comunque MaiMa significa, dato che mi chiedevi: Mai dire Ma alla libertà di essere se stessi, che sarebbe il nostro slogan, cioè mai porre un Ma alla propria libertà e ai propri diritti, a cui è seguita l'idea di una ragazza, durante uno dei vari incontri col gruppo, di tirare fuori la parola Maimi, in guaranì, una lingua dell'america meridionale, che significa Ognuno/Tutti, che quindi abbiamo sistemato facendo diventare MaiMa. Il nostro obiettivo è la lotta all'omofobia in tutte le sue forme.

Ok, ok. Sticavoli! Un gruppo molto recente con un obiettivo ben chiaro. E quanti siete?
Più o meno, il gruppo che si ritrova più spesso, a cadenza settimanale, direi è fatto da quindici/venti persone, poi ovviamente i ritrovi sono aperti ad amici, amici di amici, e a chiunque voglia venire a vedere come lavoriamo, che è bene accetto, visto che più siamo meglio è. Poi comunque abbiamo progetti in corso, altri già fatti, e... l'unione fa la forza in questi casi, speriamo venga sempre più gente.

Ma vi trovate in casa o...?
Di solito ci troviamo in qualche bar, avevamo iniziato col circolo operaio di Magrè. Poi dipende da come riusciamo a organizzarci tra noi, anche in casa di qualcuno sì, a seconda anche dalle esigenze di lavoro di ognuno o come riusciamo. E' tutto molto tranquillo diciamo.

Domande a bruciapelo allora, cosa dici?
Vai!

La parola gay, ti da fastidio?
No, assolutamente.

E' secondo te perché è vista come un insulto molto spesso? Nel senso, viene vista come un insulto anche dagli stessi gay che appunto dicono si dice omosessuale, non gay.
Beh, ce n'è da dire. Io ovviamente parlo per mia esperienza personale. Penso omosessuale sia riferito più a un termine... tecnico magari, mentre gay che è di derivazione inglese è magari vista più come una cosa tranquilla, quotidiana, che poi dipende dal contesto in cui è usata. Io non mi sono mai offeso né niente ad esempio, però è chiaro che se è usata accanto a termini offensivi è un altro discorso, e sì, spesso è vista in termini dispregiativi, mentre omosessuale forse è più carico di... ufficialità.

Tu sei gay?
Sì.

13/04/15

Ehi, io sono Chappie, puttana di figlio!

Con Chappie, o meglio, Humandroid, perché qui in Italia han voluto chiamarlo così dato che il titolo originale pareva troppo simile a chiappe, Neill Blomkamp rialza la testa dopo quel mezzo disastro di Elysium, ma lo fa lasciandoti una strana impressione intorno.
Ambientato in un futuro prossimo nell'amata Johannesburg, Humandroid racconta della creazione della prima intelligenza artificiale, Chappie appunto, un robot senziente in grado di imparare, emozionarsi, pensare e soprattutto accorgersi di essere vivo, di avere una coscienza. 
La vicenda, in breve, mostra di come questa A.I bambino si sviluppi venendo educata sia dal suo creatore Dion, sia da una banda di criminali scoppiati quali sono Yolandi e Ninja, due gangster disagiati che vogliono sfruttarne il potenziale per utilizzarlo nel loro prossimo colpo. Con la trama mi fermo qui. 

Mi è piaciuto? Sì e no.
La sensazione a fine visione è appunto quella di aver visto un film strano. Strano come Yolandi e Ninja, i due criminali protagonisti che educano Chappie, due sudafricani originali al 100% che interpretano realmente la parte di loro stessi, quei Yolandi Visser e Ninja conosciuti come duo musicale Die Antwoord. Strano come Hugh Jackman che non è mai stato così distante da Wolverine, con dei capelli tamarri osceni che ben si inseriscono al resto della tamarraggine della criminalità urbana fornita da Blomkamp. Strano come il comparto musicale, un mix alternato di Hans Zimmer (sempre fantastico ma qui più elettronico che mai) e i sopracitati Die Antwoord. 

09/04/15

Cos'è un blog?

Un blog in effetti è tante cose e tutte diverse, anche a seconda di chi ce l'ha e di come lo vive. Qui però parlo di me, e quindi per me, pensandoci un po', il blog è...

Uno sfogo. Un blog sei tu che ti puoi sfogare, che puoi dire la tua ed essere ascoltato, non come quando parli, che uno magari ti può zittire, può fingere di starti dietro, può fare sì sì con la testa e avere la mucca che balla la samba nel cervello. Perché il parlare è molto diverso dallo scrivere, così come l'ascoltare richiede un impegno differente rispetto alla lettura. Nessuno può fingere di leggere quel che scrivi: o si legge o non lo si fa, e l'attenzione dedicata dev'essere necessariamente medio/alta, altrimenti ci si perde via ed è quasi come tornasse la solita mucca che balla la samba.
Quindi anzitutto, il blog è avere l'occasione di venir ascoltati.

Poi è una casa. Chiedetelo a chiunque e vi verrà di certo detto che il proprio spazio virtuale è visto molto come una casa, un luogo proprio, magari un salotto, uno spazio di confronto, discussione, incontri e litigate, dove se ne hai voglia, nel caso qualcuno entri con le scarpe sporche di fango, si può prendere e mandare la gente fuori a calci. E di mezzo si piazza persino l'arredamento ad essere sinceri, che una grafica bruttarella non piace a nessuno, e allora si da una mano di colore di là, si sistema l'header di qua, si piazza un banner su e si sistemano i link giù, come per attaccare dei quadri.

Infine, e non meno importante, è una palestra, una di quelle per la mente. Non ricordo dove l'ho sentito questo paragone, ma mi è piaciuto un casino. In effetti qui ci si allena come in palestra, in più e più modi. Primo sforzando il cervello per creare qualcosa, magari che sia pure interessante, perché se si scrive in un blog lo si fa in un certo senso per essere letti, altrimenti tanto vale farlo su un diario e bonanotte. Secondo, affrontando ragionamenti e discussioni nate da quegli spunti che hai proposto, e il confronto con gli altri è sempre, in ogni caso, un momento di crescita e arricchimento, tanto più quando c'è disaccordo. Terzo scrivendo. Il semplice fatto di scrivere, di mettersi lì a digitare e parlare dei temi più disparati, è un allenamento di forma, contenuti e stile. Si sperimenta il linguaggio, si mutano i toni, si cercano sempre nuove strade per provare a vedere cosa si è in grado di produrre, e poi tutta questa esperienza torna utile anche inconsciamente, magari proprio quando devi metterti sotto con un racconto, o anche con un lavoro, o un esame, o una semplice lettera. Fateci caso voi blogger a quanto scrivete infilando un post dietro l'altro giorno per giorno. Non è poco!

Ma lanciamo la palla a voi. 
Per voi blogger, un blog, cos'è? E per voi non blogger invece? Voi semplici lettori, come lo vedete?

02/04/15

L'esperimento carcerario di Stanford: le ragioni del male.

Durante una serie di lezioni del corso psicologia sociale mi sono imbattuto nell'esperimento carcerario di Stanford. Ne avete mai sentito parlare? Beh, nel caso ve ne parlo un po' io, perché è qualcosa di tanto affascinante quanto agghiacciante, e volevo suggerirvi, proprio agganciandomi a questo studio, la visione del film The Experiment, e magari anche la lettura del saggio La psicologia del male, che tra le sue pagine lo prende in esame.
Ma partiamo dall'inizio, o meglio, dalla fine... 

Nel 2003 scoppia lo scandalo della prigione di Abu Ghraib, situata a una trentina di chilometri da Baghdad. I media ci bombardano di immagini che ritraggono militari statunitensi intenti a torturare e seviziare prigionieri iracheni, ridendo e godendosela di brutto. E' uno scandalo perché quelle immagini, e vi basterà fare una ricerca rapida rapida su google, fanno davvero schifo.
Le accuse più pesanti gravano sul sergente Ivan Frederick, il più alto in grado tra i militari imputati, e l'opinione pubblica non è nemmeno pienamente felice nel saperlo condannato a soli otto anni per quelle azioni riprovevoli, perché le mele marce del sistema vanno gettate, il male c'è e va punito.

Il male.
Ad esaminare la vicenda di Abu Ghraib è chiamato anche il famoso psicologico sociale Phil Zimbardo, che ben conscio del fatto che il male, in sé, non esista affatto, riporta alla memoria un suo vecchio esperimento: quello del carcere di Stanford.
Era il 1971, e su sessantacinque studenti che avevano risposto a un annuncio che cercava volontari per uno studio sulla vita in prigione, Zimbardo ne scelse 18, cioè quelli privi di precedenti penali e col migliore stato psicofisico, assicurandosi che nessuno tra i partecipanti si conoscesse. Questi vennero divisi per sorteggio in due gruppi da 9 (si fece però attenzione che fossero psicologicamente simili), a cui furono assegnati altrettanti ruoli: quello delle guardie e quello dei prigionieri.
Lo studio prevedeva un isolamento totale in carcere simulato della durata complessiva di undici giorni. Le guardie, a gruppi di tre, avrebbero sostenuto turni di 8 ore, dopo le quali sarebbero tornate a vivere la loro giornata, proprio come in un vero lavoro. I detenuti invece dovevano rimanere imprigionati per tutta la durata dell'esperimento.