21/11/14

Il canto della rivolta fallo un'altra volta.

Katniss coi ribelli e Peeta dall'altro lato, a Capitol City. Due vincitori del distretto 12, nonché amanti agli occhi del pubblico, che si trovano a dover plasmare le masse chi per alimentare il fuoco della rivoluzione e chi invece per tenerle a bada. Ma i due credono davvero nelle loro azioni? Sono davvero liberi di agire secondo il loro volere, oppure sono manipolati da qualcuno che vuole mantenere o viceversa capovolgere il potere, sfruttando una rivoluzione?

Il nuovo capitolo di Hunger Games senza gli Hunger Games non è mica niente male, e se nei primi due episodi si puntava molto sull'aspetto spettacolare, proprio sfruttando i giochi, e lasciando da parte quindi il contesto socio politico in cui vivono gli abitanti di Panem, qui ora avviene il contrario. Non sono molte le scene d'azione, se così si vuol chiamarle, e quelle presenti non sono certamente paragonabili a ciò che accadeva nelle battle royale dei poveri sfigati di turno. Ciò nonostante l'excursus sulla situazione dei ribelli è abbastanza interessante, così come il ritorno del tema della strumentalizzazione dell'immagine a scopo propagandistico.
Si parla molto di ciò che serve, al di là dei mezzi pratici, per fomentare una ribellione, per aizzare gli spiriti rabbiosi contro il giusto obiettivo. Ci viene quindi mostrato come sia necessario lavorare sulla psicologia delle persone, catalizzando la loro rabbia verso un simbolo che li rappresenti e che dia loro un senso comune votato a qualcosa di costruttivo: la rivoluzione appunto. Katniss in questo senso è allora la personificazione della ghiandaia imitatrice, e deve tentare, colpendo gli altri distretti, di farli unire alla causa contro Capitol City.

Non che ci sia molto altro da raccontare, che il film in sé pur avendo spunti interessanti è abbastanza privo di roba importante. E' questo forse un po' il suo limite, presentando inoltre una struttura in cui non si riescono bene a scorgere parte centrale e finale, un po' per mancanza di ritmo e un po' perché probabilmente il meglio è sacrificato in attesa del capitolo definitivo. Un film monco insomma. Interessante quanto volete, perché finalmente non ci si dimentica di Panem e i suoi abitanti, intelligente, dato l'aspetto propagandistico sempre molto presente e qui più sfruttato del solito (sarà molto divertente vedere il teaser trailer del film dentro il film stesso) e ben recitato, dalla Lawrence in particolare. Però monco. 
Aspettiamo la seconda parte allora, attendiamo che il canto della rivolta sia rimandato alla prossima volta, che qui ultimamente si divertono a farci vedere gli episodi conclusivi una metà prima e poi l'altra, sti stronzi. E noi lì a spendere il doppio dei soldi quando non sarebbe tanto brutto tagliare scene morte e piazzare un film da tre ore. Mokingjay part 1, comunque, perde contro i suoi prequel.

20/11/14

La distilleria è aperta e io cerco cavie!

L'idea girava già da mesi, ma non sapevo bene come metterla in pratica. La materia prima era in realtà il vero problema: le storie. 
Pubblicare un ebook e metterlo in vendita a pochi spiccioli, certo, grande trovata, ma dentro sto libro che ci ficco? Ehmm... i miei racconti già presenti nel blog? Più o meno... Sarò breve e conciso dunque: entro la fine di gennaio, cari amici, o almeno è questa la prima intenzione, pubblicherò il mio primo ebook fatto come Dio comanda: La distilleria è aperta. E' ancora tutto in fase di lavorazione, ma so già che se non mi do delle scadenze non combino un bel niente.

Che ci troverete dentro?
Ebbene, sarà una raccolta di racconti (più o meno) brevi. Troverete quindi 14 o 15 storie che già sono presenti nel blog, ovviamente accuratamente rimaneggiate, più una decina di pezzi inediti, che spero quindi possano sorprendervi più che piacevolmente. 
Quali sono le cavie che cerco?
La verità è che prima di darlo in pasto a voi altri, cioè prima di metterlo in vendita, vorrei essere abbastanza sicuro della qualità di quel che andrete a leggere. Ergo, ho bisogno di qualche volontario che legga l'ebook in anteprima, e che ne dia un giudizio spietato fornendomi delle dritte. Se, dunque, tra di voi c'è qualcuno che vuole far da cavia, si faccia avanti. Io poi guarderò quante manine si sono alzate e vi sceglierò per la tortura.

Siete pronti?

17/11/14

5813 Davidi

E' molto bella l'indifferenza de laggente quando si tratta di prendere un aereo e volare via, verso nuovi orizzonti. Lo fa l'amica che va in erasmus, lo fa l'amico che parte in vacanza, lo fanno i tennisti, i critici cinematografici per le anteprime in giro, lo fa tua nonna che deve venirti a trovare. Lo fanno tutti, anche quelli che hanno la riunione importante e la mattina partono e la sera sono a casa, lo fa persino, per lavoro, quel tuo amico che va a finire nella fottuta Cina, così, sparandosi dodicimila ore di niente sotto al culo.
Oi amico, com'era il volo? gli chiedo.
Terribile, è stato terribile! capisco, quando la risposta in realtà è Terribile, è stato terribilmente noioso!

Ma allora perché io non ci riesco a provare indifferenza? Tipo come quando sono sul treno, o in macchina, o a cavalcare le onde con la brezza nei capelli guidando il mio yatch? (sì avete capito bene, ora avete la scusa che vi serviva per provarci, non siate timide).
Che sia il niente sotto al culo il mio problema? Ma che ne so. Perché in effetti c'hai il sedile comodo sotto al sedere, e se vuoi alzarti ti alzi, e se ti caghi addosso puoi pure andare in bagno a cagare, per dire. E allora com'è che stai più a tuo agio su un parapendio, che è un pezzo di carta velina portato dal vento, piuttosto che su un fottuto aeroplano che è statisticamente il mezzo di trasporto più sicuro su cui puoi viaggiare? Perché devi essere un disagiato mentale?

Ragioniamo. Usa la statistica. Viaggi intorno ai 900 km/h, l'aria sotto di te, a quella velocità, è più dura delle onde del mare, e tu pensi che ci sia il vuoto ma il vuoto in quelle condizioni è un concetto più mentale che reale. Certo in quei 10mila metri di niente che hai sotto, ok, 10 mila metri di aria, e chiamali niente, ci starebbero circa 5813 Davidi messi in verticale uno sopra l'altro. Roba che se caschi giù ci puoi fare due chiacchiere con tutti e 5813, e ti tirerebbero una sberla a testa dicendo 
Ma sei stupido ad aver paura di volare? Non lo sai che sei sul mezzo più sicuro del mondo?
e poi, vedendoti pentito della tua stupidità, ti consolerebbero con un bel panino alla nutella. 
Si amici ma... se vi sto parlando suppongo sia perché sto cadendo! farei loro notare masticando. 
E' comunque un dilemma. Seguite il discorso, che è sensato quanto la ragione del mio disagio. Se 5813 Davidi di distanza dal suolo non t'ammazzano, lo fanno comunque le 5813 sberle in faccia che ti danno per rimetterti in riga e darti un contegno, e se non sono quelle saranno sicuramente i 5813 panini alla nutella che saranno pure buoni ma in teoria non fanno questo gran bene alla salute. E' l'olio de palma che te fotte! urla il vegano in sottofondo. Si ma pure st'arietta a 5813 Davidi d'altezza mentre mi sfondo di nutella non è il massimo, me sta a venì la cacca spry!

Insomma, se non t'ammazza il volo lo fanno le sberle, e se non son quelle lo fa la nutella. Spanzare di nutella però non dev'essere malaccio, dicono sia il sogno di molti. E allora facciamo così: nel caso, erogate nutella dalle mascherine per l'ossigeno, che mi c'ingozzo e stiamo a posto. 5813 sorsoni di bontà mortale. Non suona male, eh? Fa pure rima!
Ora però me lo dite come fate voialtri a essere così indifferenti a 5813 Davidi? Già di fronte a uno soltanto vedo tanta gente a disagio...

13/11/14

Fazzoletti sfarfallanti.

Ce la posso fare.
Avevo una sensazione come di farfalle nello stomaco. Avete presente quando incontri una, che poi ti piace, che tu poi le piaci, che inizi a farti le seghe mentali e poi va tutto di culo, di nuovo, neanche fossi quello sfigatone di Ted Mosby? Sì, ho finito HIMYM e gli voglio bene. 
Insomma, mi sentivo proprio così, con sto sciame di farfalle nello stomaco, ma proprio tante farfalle eh, e io ho lo stomaco piccolo. Avevo infatti mangiato quello che poteva sembrare all'apparenza, guardandolo ben da lontano e con la luce per traverso, un kebab. Cosa fosse in verità lo ignoravo, ma andava su e giù, come un frullato di farfalle di carne e sentimenti distrutti nel mio stomaco, mentre ero in treno. Quale poesia. C'era pure il raffreddore. Evvai, non manca più nessuno eh? In verità no, grandi assenti in questo en plein dell'orrore? I fazzoletti di carta.

Ce la posso fare.
Quindi ero in treno, di ritorno da Verona, un sacco di gente, un solo misero fazzolettino usato e stra usato in tasca, il naso gocciolante, e lo stomaco in subwoofer. Resistere fino a casa così? Devo chiedere aiuto. Di fianco a me ho un indiano, di fronte i suoi due amici, uno dei quali scatarra e tossisce come non ci fosse uno stracazzo di domani nella sua vita (adoro quest'espressione). Pare stia morendo lì, di fronte a me, in un nuvolone di germi. Che schifo. E mettiti la mano davanti Cristosignoreiddio, no? Forse il mio sguardo gli fa intendere il fastidio, da lì in poi si scatarrerà con una mano davanti. Civiltà, mi sembra di riuscire a pensare, ma l'eco della parola si perde tra le grida di ogni straniero presente sul treno, intento a consumare le proprie corde vocali addosso al proprio telefono.

Bacato: Ma a chi cazzo telefonate, perché telefonate sempre, perché urlate sempre? Perché?! Perché ho dimenticato le cuffie a casa?!
Cervello: Non distrarti, ricorda la missione. Fazzoletto, fazzoletto, fazzoletto. Il naso sta perdendo.
Bacato: Beh allora spariamo il muco tappandoci la narice verso a quello che ci spara merda addosso da mezz'ora, no? Occhio per occhio, muco per muco.
Cervello: Ti rammento che non siamo capaci di soffiare via il muco come fanno i calciatori. Ricordi mentre stavamo correndo e c'abbiamo provato? Ricordi quella stella filante sulla manica? Meno male non c'era nessuno a vederci.
Bacato: Fazzoletto fazzoletto fazzoletto muoviti!

Ce la posso fare.
Alla mia destra numero quattro ragazze piacenti. Faccio tap tap sulla spalla della più vicina. Si toglie le cuffie. Scusa bi serbirebbe un fazzoleddo, non è che ne abresti uno? le chiedo. Me lo porge sorridendo, perdendo poi quel meraviglioso attimo di gioia all'udire lo scatarramento dei miei vicini e la cacofonia a decibel inconcepibili di chiacchiere in sconosciuti idiomi. Rimette le cuffie. Penso provi pena per me, questo almeno fa intendere il suo sguardo prima di isolarsi di nuovo dal mondo.
Soffio la morte dalle narici e mi faccio scudo dall'ennesimo colpo di tosse del tizio che ho davanti. Eccheccazzo, allora mi sposto. Faccio per alzarmi ma il treno si ferma, se ne vanno loro. 
Le porte si aprono e respiro aria pura. Confusione. Le porte si richiudono e torna il silenzio giusto il tempo di riorganizzarsi: italiani cuffie alle orecchie e dita che masturbano gli smartphone, tutti gli altri che invece al proprio, di smartphone, ci gridano dentro.

Come siamo strani, penso. 
Ecciù. Rrhhh... 
Venti minuti ancora, il bisogno di un altro fazzoletto, il kebab che balla la samba. Ce la posso fare?

10/11/14

La sabbia di Interstellar

C'è la sabbia che avvolge un'umanità che rischia la fame, ci sono lo spazio e il tempo che si piegano oltre i limiti di quel che l'uomo riesca a capire, e poi ci sono un papà, un figlio, e soprattutto una figlia: Murph.

Papà, perché mi avete chiamato come una cosa brutta?
Non è vero.
La legge di Murphy... 
La legge di Murphy non significa che succederà una cosa brutta, ma che tutto quello che può accadere, accadrà.

Dire che Interstellar è un capolavoro è sbagliato, perché non lo è, così come è sbagliato dire che è una merda, che altrimenti io v'incendio l'auto dopo averci cagato sopra. E' un bel film però, un gran bel film, ma questo pare non bastare quando si parla di Christopher Nolan, forse perché ci si era abituati un gran bene con Memento, Inception, Il Cavaliere Oscuro... The Prestige. Sì, l'ho lasciato per ultimo perché lo adoro alla follia. Non sembra bastare poiché ci si diverte tanto a osannare o smerdare, e soprattutto perché si vive di aspettative che poi non si vogliono accettare quando deluse.
Io non sono deluso eh, chiariamo. E' che ce le avevo davvero altissime, e forse volevo un nuovo film da vedere e rivedere senza stancarmi mai, proprio come quel magnifico scontro tra prestigiatori, in cui convergono magia e scienza, del quale Nolan è l'illusionista supremo.

Interstellar però.
Se non lo avete visto di ragioni per farlo ce ne sono parecchie. Abbiamo un futuro pessimo da cui si parte, ambientazione inquietante che scuote le spalle allo spettatore dicendogli Stai attento, che questa Terra che calpesti con noncuranza non può sopportare la tua ingordigia per sempre. Contesto, motore del viaggio interstellare verso un nuovo mondo per sopravvivere, che si porta dietro primo tra tutti il problema del tempo. Il tempo scorre in maniera diversa quando viaggi a velocità prossime a quelle della luce, ed è ugualmente alterato da forze quali la gravità, e quindi capirete che vicino a un bel buco nero non può essere tutto rose e fiori.
Chi è nello spazio ci appare allora stabile, giacché si segue il suo punto di vista, mentre chi sta a casa, sulla Terra, invecchia molto, troppo rapidamente. Affetti che spariscono, figli che crescono, grandi cambiamenti che sono perduti a causa del tempo, in ogni senso. E poi ecco Hans Zimmer con la sua colonna sonora splendida, un insieme di organi che riempono il vuoto cosmico col loro soffio, come quello di un respiro umano, e a sfondo il ticchettio inesorabile a scandire il ritmo, il controllo sfuggente, il tempo più forte di tutto e tutti. Uau!

07/11/14

Effetto Kulesov

Mi è venuto in mente di un espediente cinematografico che funziona molto bene nelle realtà di ogni giorno, e che si attua nelle nostre teste.

Inizio il discorso presentandovi il signor Lev Kulesov, che è considerato una sorta di pioniere, un fondatore per quel che è il percorso cinematografico sovietico degli anni '20. Kulesov dirigeva la Scuola Statale di Cinematografia, ed è in quel contesto che compì alcuni importanti esperimenti riguardanti montaggio. 
Egli riteneva che partendo da un'inquadratura e accostando ad essa, di volta in volta, differenti immagini, la correlazione visiva che si creava mutava il senso del risultato finale, dava quindi nuovi significati.
Prese allora il volto di Mozzuchin, uno dei divi del cinema zarista, un tipo che gli stava abbastanza sulle balle, e gli fece susseguire le inquadrature di una minestra, poi di un bambino morto, infine di una donna sensuale. Il risultato fu appunto che l'espressione del divo, pur rimanendo sempre la stessa, allo spettatore pareva cambiasse nelle intenzioni.
Tale effetto prende il nome appunto di Effetto Kulesov.

Proviamo a vedere allora, come vi dicevo all'inizio, se l'effetto Kulesov funziona davvero anche nel nostro pensiero, nel modo che abbiamo di vedere la realtà e quindi di giudicarla. Ho scritto queste tre storie diverse. Dovete leggerle e dare un giudizio singolo per ognuna di esse.

04/11/14

Zerocalcare | Tempismo, rimorsi e ricordi. Intanto ridi.

Quando mi appassiono a qualcosa mi verrebbe da urlare a tutti ''Cazzo, fatelo anche voi! Guardate che figata, provate!'' Oggi allora lo urlo qui e parlo di tre fumetti dello stesso autore, Michele Rech, in arte Zerocalcare, tre che sono poi quelli che mi sono piaciuti di più, e che secondo me lui stesso sente maggioramente. 
Perché il bisogno di costringervi a leggerlo? Perché sto ragazzo è bravo, è veramente ma veramente bravo. Ed è uno di noi, uno che ti racconta la sua storia normale e comune ma facendoti brillare gli occhi di meraviglia, facendoti ridere come un coglione da solo, facendoti provare anche uno e più colpi dritti al cuore.

La profezia dell'armadillo
Pelle d'oca
Iniziare da La profezia dell'armadillo è senz'altro il metodo migliore per approcciarsi a Zerocalcare. Ci sono più storie auto conclusive che si susseguono tenute assieme dal filo conduttore che è un lutto: il nostro protagonista perde una sua vecchia amica. Dico che è il modo migliore per avvicinarsi proprio perché c'è tutto il tempo di ambientarsi e conoscere il suo modo di scrivere e raccontare. Calcare disegna infatti la realtà alterandola, portandoti ad esempio a vedere la sua stessa coscienza che interagisce con lui sotto forma di armadillo gigante antropomorfo, o a chiacchierare coi suoi conoscenti rappresentati come cinghiali arrapati, anatre starnazzanti e chi più ne ha più ne metta. Una simbologia insomma che permette a lui di lasciarsi andare liberamente e a te di empatizzare subito con tutti, cogliendo le caratteristiche più evidenti di ognuno e ridendo come un imbecille per quanto comica sia la vena pulsante di Michele, persino se si parla di un lutto, sì.
Qui sta la magia che ha saputo conquistarmi la prima volta. Si ride tantissimo e intanto ci si fanno ragionamenti seri sul tempo che passa e scappa via, e soprattutto sul tempismo, che non riusciamo mai a trovare per la paura di fare figuracce, di non essere accettati e di uscire allo scoperto facendoci male. Lo trovate a qualche euro in meno su Amazon qui.

Un polpo alla gola
La sua seconda opera è forse la mia preferita. Un ampio respiro sull'infanzia di Calcare, un tuffo negli anni '80/ '90 che sono omaggiati sempre e comunque da milioni di citazioni e di richiami, sempre in tono ironico, chiaro. L'infanzia e i suoi drammi sono quindi i protagonisti, problemi piccoli, roba da bambini, che però sono ingigantiti proprio per il punto di vista formato ridotto di quel periodo.
E' geniale allora notare come il tema del rimorso sia rappresentato da un polpo alla gola, vedere come una figura tanto scema significhi qualcosa di tanto problematico nella vita di tutti quanti.
Ed è una bomba d'emozioni infine, vedere fino a dove riescano a spingersi certi polpi, e quanto facile sia in realtà scioglierne alcuni, e quanto invece difficile altri. Anche questo lo potete trovare qui.

Dimentica il mio nome
L'ultimo passo lo dovete muovere quindi verso Dimentica il mio nome, il suo lavoro più completo, maturo, e anche difficile. Si nota infatti che tutto l'universo di simbologie presente anche negli altri due capitoli è ora spinto al suo massimo. Ci sono momenti, mentre si legge, in cui non si capisce veramente cosa ci sia dietro a certe immagini, ma lo si intuisce soltanto, proprio come accaduto a Zero mentre le ha vissute.
Si parla principalmente di ricordi, di eredità e di famiglia, il tutto partendo dalla nonna di Calcare, che si è spenta. Una ricerca indietro nel tempo che parte per risolvere alcuni piccoli misteri che poi si fanno via via più grandi, divenendo un punto di domanda grande quanto una casa. Sfumature a tratti assurde e a tratti sinistre, impossibili da credere. E anche qui chiaramente tante risate ma anche tante riflessioni, una tra tutte quella circa la libertà, che non è mostrata con evidenza se non nelle ultime pagine, pur restando presente in maniera fortissima in tutto l'albo, ma nascosta, con gran stile e per un gran perché. Sempre su amazon è disponibile qui.

Tre fumetti quindi che se non li avete mai presi in mano beh, questo è il momento. Riderete tanto, penserete tanto, e vi emozionerete ancora di più. Se poi non avete i danari sotto mano, non siete convinti, o bramate di avere sotto il naso qualcosa di suo adesso e subito, qui trovate il suo blog.

03/11/14

Quanto sei bella...

La mia testa a volte fa strane associazioni tra le cose. Talvolta non le capisco, e tento di darne un senso, di intuirne i perché.
Non so di preciso quando sia successo ma mi sono ritrovato diverse volte, negli ultimi anni, con un Sei bella tra le labbra, così di punto in bianco, incantandomi davanti a qualcuno o qualcosa. Un modo di vedere certe situazioni che ogni tanto le prende e le fa parlare. Ehi guardami, sono qui. Sono bella, non trovi? Riempiti gli occhi allora, ma fai in fretta; sono anche maledettamente fragile, sparisco in un attimo.

Qualche settimana fa, una domenica pomeriggio, stavo guidando per trovarmi a far due chiacchiere con degli amici. Mi chiama mia madre. Dice se posso andare a prendere mio fratello e portarlo a casa, che lei deve andare a salutare la nonnina, cioè la mia bisnonna, perché non sta bene e probabilmente lo potrà fare per l'ultima volta.
Sono un tipo fortunato devo dire. Uno con l'infanzia perfetta che ho avuto io sfido a trovarlo, davvero. Un misto tra famiglia, amici e circostanze che a confronto a chi mi stava attorno, tra i coetanei più vicini, botta de culo sarebbe una definizione riduttiva per descriverla. Io non me ne rendevo conto ma c'era chi affrontava litigi, spostamenti, separazioni e lutti, tutto mentre la delusione più grossa per me era la puntata di Dragonball che non potevo vedere perché dovevo fare i compiti. Io certi problemi non li avevo, non li ho mai avuti. E' andata così.
Un giorno però ho più o meno capito, ho apprezzato la bellezza di certe cose che magari si danno per scontante, e quando me ne sono reso conto, ho visto cosa fosse il vuoto che esse si portano dietro quando spariscono.
Non so perché mi sia venuto in mente, ma mentre guidavo e pensavo alla nonnina nel letto d'ospedale mi è passata per la testa una scena che ho vissuto con due amiche. Quella sera eravamo tutti a cenare insieme, era verso la fine di quest'estate. Ricordo perfettamente la musica in sottofondo e loro due che smettono per un attimo di parlarmi e canticchiano questa canzone guardandosi, guardandomi, e ballando. Pochi secondi. Ho pensato Wow, ma quanto sono belle?

Quando il giorno dopo l'ultimo saluto mi è stato detto che lei se n'era andata, ci sono rimasto per qualche secondo. Poi basta. Ho il pilota automatico per le brutte notizie, come non fossi io a recepirle.
Cervello: Hai capito cos'è successo, sì?
Bacato: Certo!
E intanto in testa mi parte lo screensaver col tubo 3d che c'era nei windows di dieci anni fa, che copre tutto lo sfondo nero. Quando accade qualcosa di brutto quindi non lo sento, è come fosse distante, come non fosse successo davvero, quasi dovesse ancora accadere. Tutto finché non mi si sbatte in faccia davvero la realtà...

Lei è lì e io guardo da un'altra parte. Il prete parla, ogni tanto lo ascolto, per il resto penso a tutt'altro. Mi vengono in mente le due amiche, di nuovo. Quella scena singola, quell'attimo rapidissimo, qualcosa che ho visto solo io e che ricorderò solo io, chissà per quanto tempo.
Penso a quanto abbia vissuto la nonnina, a quanto raro sia per qualcuno di 23 anni avere ancora una bisnonna. Penso a quante persone e vite ed esperienze abbia fatto, al mondo che è cambiato con lei e che verso la fine magari faticava addirittura a farsi riconoscere. Penso a quanto sia diventata diversa lei invece, dentro e fuori, a come la vecchiaia pian piano consumi le persone, facendole tornare fragili un po' come quando si era bambini, privandole di una certa bellezza, quella che si riesce a trasmettere soltanto nel pieno della giovinezza, e che poi si rimpiange per tutto il resto del tempo. Penso infine a Giovanni, il mio bisnonno, che mi ha conosciuto nei miei primi mesi, ma di cui non ricordo nulla.
Lo immagino lì, 70 anni fa, che guarda la nonnina, quella che ho visto io in una foto da giovane. Immagino sia fermo, imbambolato per un attimo, così senza che lei lo sappia, dicendo tra sé una frase che ormai si è dimenticata nei ricordi, un pensiero che dilatandosi nel tempo, in tante piccole onde, è poi diventato mia nonna, e poi mia mamma, e poi me.
Un pensiero che era: Diavolo... quanto sei bella....